Tra Mare e Mura, Pellestrina
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Il 13 luglio 2021 ho preso per la prima volta un autobus sull’acqua: il numero 11, direzione
Pellestrina.
Pellestrina è un’isola della laguna di Venezia poco conosciuta, ma che per la sua posizione
e conformazione geografica svolge una funzione fondamentale per la preservazione e
protezione dell’ambiente lagunare.
Si tratta di una sottile lingua di terra lunga 11 km, il cui punto più stretto misura appena 23
metri, situata a circa 20 km a sud di Venezia.
Insieme all’isola del Lido, costituisce la barriera naturale che separa le acque del Mare
Adriatico da quelle della Laguna Veneziana.
Una posizione tanto affascinante quanto fragile, che negli ultimi anni ha subito - e continua a
subire - profonde trasformazioni.
Quel 13 luglio il mio autobus dal Lido è salito indisturbato su un ferry boat per portarmi a
conoscere meglio questa realtà, grazie anche alla gentilezza e alla disponibilità di alcuni
abitanti dell’Isola.
Ho conosciuto Daniela, sua sorella Ida e il marito Giancarlo, i loro figli Carlo e Andrea,
Stefano, il nipote. Svetlana, moglie di Carlo, la signora Sandra del Bar Laguna. Ognuna di
queste persone ha condiviso con me storie, curiosità e aneddoti preziosi, facendomi
immergere per 4 giorni in una realtà unica, quasi parallela.
Una realtà accogliente, che mi ha ricordato quanto il legame tra le persone e quello con la
terra che si abita siano importanti.
Una faccia di Venezia meno laccata, meno conosciuta, meno idealizzata, che fa di questi
meno il suo punto di forza, conservando gelosamente un’identità autentica.
Una realtà fluttuante che rischiamo di poter solo raccontare nel prossimo secolo, che lotta ai
limiti delle sue stesse possibilità per restare a galla.
Daniela e Ida sono sorelle. Le ho incontrate separatamente, in giorni diversi, e alla domanda
“Qual è la tua cosa preferita di Pellestrina?” entrambe hanno risposto l’acqua. Per una è
l’acqua in sé, l’averla sempre intorno. L’altra mi ha parlato della sua casa al secondo piano,
da cui si vedono sia il mare che la laguna.
Per la sua conformazione e posizione geografica, Pellestrina gode di una caratteristica quasi
unica. Essendo così sottile, da un lato, all’alba, è possibile vedere il sole nascere dall’acqua
del mare e, dell’altro, vederlo congedarsi al tramonto in quella della laguna. Non c’è una sola
persona con cui abbia parlato a Pellestrina che non mi abbia nominato la magia del
tramonto sull’isola.
Queste acque cullano l’arcipelago veneziano rendendolo un posto unico al mondo, e
storicamente sono considerate le sacre mura della Patria, il suo fondamento e la sua difesa
al tempo stesso.
I ritmi di vita di queste isole sono sempre stati scanditi dalle maree, e la cosiddetta acqua
alta ha da sempre caratterizzato i mesi di ottobre e novembre.
Ma la frequenza di questo fenomeno è in costante aumento, e anche nei mesi successivi,
fino a primavera, sta diventando comune.
Negli ultimi sessant’anni due sono state le maree eccezionali che hanno segnato la storia di
Venezia e delle sue isole: la prima, nel 1966, ha messo in ginocchio la città con una
persistente mareggiata dal picco più alto mai registrato, 194 cm; la seconda, nel 2019, toccò
i 187 cm.
Piazza San Marco, situata in uno dei punti più bassi di Venezia, inizia ad allagarsi quando la
marea supera gli 82 cm.
Se la laguna stessa è considerata la sacra muraglia della città, ciò che le permette di
essere tale e di essere protetta dal Mare Adriatico, è un’altra effettiva muraglia.
Anzi due.
Una è la diga naturale, formata dalle isole del Lido e di Pellestrina. La seconda è una
muraglia a tutti gli effetti. I cosiddetti murazzi sono delle imponenti mura in pietra
d’Istria costruite dalla Serenissima nella seconda metà del XVIII secolo per difendere
gli argini di queste isole dall’erosione e dalle intemperie del mare.
Nel caso di Pellestrina, i murazzi si estendono per quasi tutta la sua lunghezza, per un
totale di 10 km su 11. Una delle ragioni per cui l’acqua alta del 1966 fu così disastrosa,
furono i venti di scirocco registrati quel 4 novembre, talmente forti da danneggiare
queste massicce mura e da aprire in alcuni punti delle vere e proprie falle.
Ida e Daniela erano insieme quella notte, e mi raccontano dell’acqua entrata in casa a
livello del tavolo della cucina, e del vento così forte da alimentare onde che portavano
gli scogli in strada.
Fu così che l’acqua del mare si incontrò con quella della laguna. Un incontro pericoloso,
che colpì drammaticamente questa sottile isola.
Nel 2019 lo scenario si è avvicinato molto a quello di quella notte, complice anche un
cortocircuito che ha impedito alle pompe adibite a contenere l’allagamento sul lato
laguna di entrare in funzione.
Daniela tira un sospiro di sollievo raccontandomi che ora la sua casa è in un punto
leggermente più alto dell’isola e la marea ha iniziato a calare dopo averle allagato “solo”
il giardino, placandosi prima che riuscisse ad entrarle in casa.
Gli abitanti dell’isola sono circa 5000.
Rispetto al lido, con le sue zone liberty e la caoticità delle zone balneari o della Mostra
del Cinema, lo scenario di Pellestrina è decisamente diverso. Arrivando in autobus da
Santa Maria del Mare, a sinistra rimane quasi sempre invariato: i murazzi si estendono
per tutta la lunghezza dell’isola, e il pattern delle pietre massicce che li compongono
viene interrotto di tanto in tanto soltanto da delle scalette che permettono l’accesso alla
spiaggia. Non a caso questa lunga via si chiama Strada Comunale dei Murazzi.
Si tratta di una delle due strade asfaltate presenti sull’isola, costruita soltanto dopo
l’alluvione del 1966.
A destra, si alternano aree verdi più incolte e alcune abitazioni. Le case che si trovano
su questo lato della strada sono di costruzione recente, successiva agli anni ‘60. La parte
storica, con le case variopinte che la caratterizzano, si trova lungo il lato laguna.
Il capolinea, a sud dell’isola, è di fronte al cimitero di Pellestrina. Qui la corsa dell’autobus
si ferma, ma la Strada Comunale dei Murazzi continua per altri due chilometri e mezzo,
percorribili soltanto a piedi o in bicicletta, fino all’oasi naturale di Ca’ Roman. È proprio
in quest’ultimo tratto che si trova il punto più stretto dell’isola, in un suggestivo corridoio
tra mare, murazzo e laguna.
Un pomeriggio ho incontrato Carlo e sua moglie Svetlana in una spiaggia del lato sud,
lato mare.
Il caldo umido di luglio, tipico di questa zona, era notevole, e siamo rimasti seduti al
riparo dal sole sotto una capanna che Carlo stesso ha costruito recuperando elementi
naturali incontrati lungo il litorale (bastoni, bamboo, foglie, conchiglie).
Sul lato mare di Pellestrina, oggi, si estende una spiaggia di 9 chilometri.
Ma fino al 1994, questa costa era formata soltanto da scogli, e le uniche zone dell’isola
che avevano naturalmente delle spiagge di sabbia erano le estremità a nord e a sud,
Santa Maria del Mare e Ca’ Roman.
L’aspetto selvaggio della spiaggia farebbe pensare ad un (raro) luogo di natura
incontaminata, ma si tratta a tutti gli effetti di un’opera completamente artificiale.
La creazione di questa spiaggia, infatti, fu una delle imponenti opere messe in atto per
prevenire l’erosione della costa e altri eventi eccezionali come nel 1966.
Sotto gli occhi increduli degli abitanti dell’isola, oltre 4 milioni di metri cubi di sabbia
vennero riversati sulla costa est con delle draghe e delle pompe.
Tra quegli occhi c’erano anche quelli di Carlo e suo fratello Andrea, che erano ragazzini
all’epoca. Entrambi mi hanno raccontato della potenza del vedere quell’operazione
dal vivo, e di quella con cui le pompe scaricavano tonnellate di sabbia insieme a sassi,
argilla, pesci, folpi, alghe. Tutto scaricato sopra agli scogli che fino a quel momento
avevano caratterizzato la costa.
Erano momenti di grande fermento per chi assisteva, e non mancavano le corse per
accaparrarsi del pesce o dei granchi granciporri (gransipori in veneziano).
Quest’opera di ripascimento artificiale venne completata in 5 anni, nel 1999, e quasi
raddoppiò la superficie dell’isola, permettendo alle onde di infrangersi prima di
incontrare i murazzi, anch’essi rinforzati e integrati con 18 pennelli di contenimento.
I pennelli, inoltre, sono collegati l’uno all’altro da una scogliera sommersa parallela alla
costa, quasi una seconda diga subacquea. Questa scogliera continua dista 300 metri
dalla riva e si snoda lungo tutti i 9 km di lunghezza del litorale, diminuendo il moto
ondoso con lo scopo di rallentare l’erosione costiera.
La spiaggia non è controllata, e viene mantenuta per lo più dagli abitanti dell’isola.
È molto comune trovare delle capanne, al cui riparo si può godere della tranquillità che
caratterizza questa zona.
Alcune - come quella di Carlo - sono realizzate con cura, sfruttando e recuperando
elementi naturali dell’isola, altre, più sbrigativamente, sono montate con dei pali e dei
semplici teli di plastica.
Sulla carta non esistono (e non possono esistere) veri e propri proprietari di queste
strutture, ma in una comunità come quella di quest’isola, le regole non sempre hanno
bisogno di essere scritte, e tra i residenti è noto a chi appartiene “moralmente” ognuna
di queste capanne.
Anche se Carlo non vive più a Pellestrina, finchè mi parla è evidente quanto sia legato
a quest’isola. Alla domanda “Qual è la tua cosa preferita di questo posto?”, riflette
un attimo e poi risponde: la diversità che la contraddistingue dalle altre isole. La sua
identità.
Secondo i luoghi comuni veneziani, i pellestrinotti sono considerati grezzi, quasi come
se venissero da una realtà sottosviluppata rispetto al resto delle città della laguna.
E, collegandosi a questo aneddoto, mi racconta che è proprio l’ignoranza nei confronti
di quest’isola la sua stessa salvezza, ciò che le ha permesso di mantenere e salvare la
sua micro-cultura e conservare questa sua identità lontano dai riflettori del turismo di
massa.
Fino ad anche solo 10-20 anni fa Pellestrina era quasi sconosciuta, e i suoi abitanti
proteggono la sua autenticità gelosamente.
Data la dimensione dell’isola, le attività in funzione si contano anche senza bisogno di
google. Un supermercato, un albergo, un palazzetto dello sport, un ufficio delle poste,
una casa di riposo. Una pizzeria, otto ristoranti. Non c’è un ospedale ma un punto di
primo soccorso.
I centri abitati sono due, tra i quali storicamente c’era una certa rivalità (oggi superata):
San Pietro in Volta e Pellestrina.
Per quanto riguarda la scuola, ci sono asilo, elementari e medie. Una volta raggiunta
l’età del liceo, bisogna optare per Venezia o per Chioggia, intraprendendo lo stile di vita
pendolare che accompagna una buona parte degli isolani, e che spinge molti (soprattutto
in giovane età) a trasferirsi altrove.
Nonostante la distanza in linea d’aria da Venezia sia soltanto di circa 20 chilometri,
non esistono collegamenti diretti con mezzi pubblici tra Pellestrina e Venezia centro.
Muoversi da o per l’isola è un processo che richiede tempo e per lo meno due mezzi, per
un totale di almeno un’ora e mezza di viaggio, se le coincidenze combaciano. Questo è
uno dei motivi per cui alcuni pellestrinotti si sentono più legati a Chioggia (la città più
vicina, a sud dell’isola), che è facilmente raggiungibile in soli 20 minuti di ferry boat.
È bene ricordare che, in luoghi come questo, la vita in estate è molto diversa da quella
in inverno. E se un’isola si trova già per sua natura - appunto - isolata dal resto, in
laguna sono sufficienti una nebbia fitta o l’acqua alta per fermare i collegamenti dei
vaporetti. Inoltre, in questa zona d’Italia le temperature in inverno sono piuttosto rigide,
e non disponendo della stessa quantità di contesti ricreativi rispetto ad altre città, l’eco
di questo isola-mento si fa sentire in maniera più pronunciata.
Le conversazioni che ho avuto a Pellestrina sono state tutte all’insegna dell’amore per
la propria terra, per la sua identità, per la sua comunità e la sua cultura. Ma a fine
chiacchierata, è inevitabile chiedere cosa si pensi del futuro di questa area e delle misure
messe in atto per preservarla.
E il tono di voce cambia, con una nota più grave, preoccupata, quasi rassegnata.
Venezia è circondata dall’acqua, è su essa stessa che è stata costruita, e su di essa si
basano il suo ritmo e la sua essenza.
La drammatica alluvione del ‘66 ha segnato un momento di rottura nella storia di
Pellestrina e di tutta la laguna, rendendo evidenti i rischi a cui questa zona va incontro
e aprendo il dibattito sulla direzione da prendere per salvaguardarla.
Nel 2003 sono cominciati i lavori del discussissimo MOSE, un sistema di 78 paratoie
mobili incernierate sul fondale a delle enormi basi di calcestruzzo, che verranno
azionate ed alzate in previsione di maree superiori ai 110 cm. L’obiettivo è proteggere la
laguna di Venezia dall’acqua alta chiudendo le tre bocche di porto di Lido, Malamocco
e Chioggia, “completando” la diga naturale costituita da Pellestrina e il Lido.
A Pellestrina, i cantieri di questa gigantesca opera sono presenti alle estremità sia a nord
che a sud. Solo a Ca’ Roman (oasi naturalistica, Sito di Importanza Comunitaria - SIC
- e Zona di Protezione Speciale - ZPS) oltre tre ettari di habitat tutelato dalla Comunità
Europea sono stati distrutti per la realizzazione della conca di navigazione, del porto
rifugio e del terrapieno previsti dal progetto MOSE.
Secondo alcune stime, tra il 2050 e il 2100 Venezia potrebbe essere completamente
sommersa.
Mentre il livello dei mari cresce, Venezia e le sue isole lentamente sprofondano.
Le alte maree sono sempre più frequenti, e i muretti delle rive vengono man mano
rialzati in base a questo andamento.
É davvero difficile non chiedersi quale sarà il futuro di questa zona, e quale il prezzo da
pagare per preservarla (economico e ambientale).
Tornando a casa, attraversando tanta bellezza, me lo sono domandata anch’io.
E, su quell’autobus sull’acqua, sono ripartita con più domande che risposte.